Apologia dell’errore
Un celebre aforisma del drammaturgo irlandese Samuel Beckett recita:
– Ho sempre tentato, ho sempre fallito.
– Non discutere, fallisci ancora, fallisci meglio.
Sembra, ad una prima lettura, un invito esplicito a commettere errori. Suona strano, vero? Nella visione della maggior parte di noi, questa parola ha un’accezione negativa perché è indice di una personalità poco strutturata, debole e fragile.
Da un altro versante commettere errori espone le persone alla critica e al giudizio; altri atteggiamenti con cui non abbiamo una buona confidenza, e che molto spesso generano frustrazione e fanno sorgere i sensi di colpa.
Un movimento imperfetto
Sarebbe impensabile concepire la vita come una linea perfettamente dritta perché ciò farebbe delle persone degli automi, ovvero esseri che si muovono e agiscono per un semplice movimento meccanico. Ma sappiamo molto bene che la vita segue altre coordinate che sono rappresentate dallo spazio, dal tempo, dalle emozioni dalle scelte e dalle decisioni, una linea sinuosa ed in continua evoluzione.
E sarebbe altrettanto inopportuno ritenere che questo movimento debba essere sempre perfetto e inattaccabile, proprio perché tali circostanze determinano una certa influenza in questo movimento che ci espone inevitabilmente all’errore, o quanto meno ne genera le premesse.
La strategia più importante
Tornando per un istante alla citazione, c’è un’espressione molto eloquente che attira l’attenzione del lettore: fallisci meglio. Questa indicazione ha la funzione di riportare in equilibrio l’esperienza negativa del fallimento e delle cadute, ci offre in pratica una strategia importante per orientare i nostri obiettivi. Essa ci invita ad adottare un atteggiamento di perseveranza.
Cos’è dunque questa strategia? Come si può raggiungere?
Il vocabolario della lingua italiana definisce la perseveranza come costanza e fermezza nel perseguire i propri scopi o nel tener fede ai propri propositi, nel proseguire sulla via intrapresa o nella condotta scelta.
Fallire come un re
Vorrei provare però a tradurre questo concetto con un’immagine, e per farlo attingo al mondo animale. Osservando il comportamento dei leoni, gli studiosi hanno notato che il re della savana fallisce l’85% delle volte prima di catturare la sua preda. Potremmo dire che la maggior parte della sua vita è un fallimento.
Ma allora, cosa lo rende un re?
La sua regalità risiede proprio nella costanza e fermezza che, pur dopo molti tentativi senza successo, gli consentono comunque di raggiungere i suoi obiettivi: le prede. E basta osservare la vita nella savana per avere la certezza che quest’atteggiamento è vincente: non solo il leone non si è ancora estinto, ma è il dominatore indiscusso del suo regno.